Faccia a faccia con il Fuori luogo

Questo periodo sospeso mi ha fatta tornare a riflettere sulla nostra scelta del Luogo fuori luogo.
Dopo qualche anno speso ad inseguire figli, a leggere per i figli degli altri e lambiccarmi il cervello per trovare una mia strada che componesse le mie scelte di vita e l’esigenza di trovare un posto nella cosiddetta “vita normale” (n.d.Astrid: peraltro senza che ancora abbia trovato una soluzione), cercando contemporaneamente di non mancare in coerenza, infilando negli interstizi ciò che veramente contava… anch’io, come molti, mi sono trovata a faccia a faccia con la nostra scelta.

Scelta di solitudine.
Solitudine che è assenza di auto sulla strada provinciale e d’aerei in cielo, che, sommata alla solita assenza quasi completa di segni di antropizzazione (dato che la valle e i suoi rumori ci sono nascosti dalla collina) fa una bolla di natura e di noi, per giorni e giorni.
Che è visite quasi quotidiane della fauna selvatica, dal camoscio-sentinella col suo buffo verso che sembra il rumore di un trapano al fischio prolungato e temibile delle poiane, al tambureggiamento echeggiante del picchio nel bosco di sotto.
Che è senso d’intimità con il verde che lentamente invade gli alberi, con quella luminescenza stranissima delle prime foglie che le rende miriadi di lampadine accese e che fa dire a mia figlia: “Che bello! Non mi ricordavo com’erano gli alberi con le foglie!”.

Ma è anche solitudine rispetto al vissuto della maggior parte delle persone che condividono con noi questo pezzo di mondo e questo strano spicchio di tempo.
Per noi questa parentesi significa, certamente, preoccupazione per i nostri cari, le cui voci e i cui pensieri ci raggiungono ma che non possiamo vedere; per il nostro presente e futuro, dato che, essendo entrambi lavoratori autonomi, non abbiamo alcun guadagno in queste settimane; e per il presente e futuro del mondo e dell’umanità tutta (dato che ci piace pensare in grande); ma allo stesso tempo spazio di bellezza e silenzio, cose che ci sembravano essere sempre più scarse persino nel nostro piccolo mondo.

Prima, c’è il lavoro di carteggio fatto per anni su noi stessi: il continuo interrogarci su quale sia il modo più onesto, autentico, leggero sul mondo di vivere. Scelte faticose e mai definitive, intese a portarci, possibilmente, sulla via dell’umanizzazione, che hanno impegnato molte delle nostre energie; scelte relative a come e cosa consumare, come educare i nostri figli, come curarci, come spostarci, come e quanto lavorare, che genere di relazioni avere.

Insomma, alcune delle mie conclusioni sono qui: magari qualcuno le troverà utili:
– che non sceglierei un’altra vita, nonostante tutto
– che la famiglia è una gran risorsa
– che le relazioni profonde e autentiche non hanno bisogno di continue conferme ma ci sono, anche quando migliaia di muri vi si frappongono. Come diceva Henry David Thoreau in Walden, ovvero vita nei boschi: “Il valore di un uomo non è nella sua pelle, così non occorre toccarlo”.
– Che chi è nella natura non è mai solo. Di nuovo Henry David Thoreau: “Io non sono più solo di un solo verbasco o di una bocca di leone in un pascolo, o di una foglia di fagiolo, o di una acetosa, o di una mosca cavallina, o di un’ape. Non più solo del Mill Brook, o d’un gallo di latta, della Stella Polare o del vento del Sud, d’una pioggia d’aprile o d’una gelata in gennaio – o del primo ragno in una casa nuova”
– che avere un orto, un giardino, un qualsivoglia pezzo di terra ti tiene in equilibrio
– è banale, ma: che un profondo cambiamento deve avvenire nella nostra società: subito. Non domani o dopodomani. Un cambiamento che riguarda tutte le cose che ho scritto sopra e molte altre, ma che, in generale, riguarda la relazione: il modo in cui noi, come individui e come specie, ci relazioniamo con gli altri individui, con le altre specie, con la Terra. Qualcuno, come me, aveva da mesi la sensazione di trovarsi su una pentola a pressione che fischiava a più non posso in attesa che la sua valvola di sicurezza collassasse?
– che il primo cambiamento che deve avvenire è una riscoperta della cura, un atteggiamento insito in noi in quanto appartenenti a una specie sociale, che la nostra cultura e la nostra intelligenza possono indurci ad estendere oltre i confini della nostra specie. L’unica cosa che davvero può guidare la nostra necessaria evoluzione in esseri umani.

Libri accanto al fuoco – IL MURO IN MEZZO AL LIBRO

C’è un muro dentro al libro.
Proprio in mezzo, lì, nella riga mediana, il luogo dell’imperscrutabile così odiato e amato dagli illustratori, da cui qualcuno fa uscire cose e in cui qualcun altro ce le fa cadere, è stato piazzato un muro di mattoni, molto alto.
Così inizia Il muro in mezzo al libro di Jon Agee (Il castoro edizioni, 2019).
A sinistra del muro c’è un soldatino che di quel muro è parecchio soddisfatto: c’informa subito che il muro serve, per l’appunto, per proteggere la pagina sinistra da quel che c’è nella pagina destra. E nella pagina destra ci sono cose molto, molto pericolose.
Mentre l’ometto, con una certa pedanteria, ripete la sua lezioncina sull’importanza del muro per la tutela della pagina sinistra, e si affaccenda con una scala per sistemare al suo posto un mattone caduto dal muro, al di là dell’ostacolo accadono cose.
In effetti, c’è un certo movimento: animali grandi e piccoli si accostano al muro, con l’intenzione apparente di passare dall’altra parte, o forse soltanto curiosi, ma senza riuscirvi, venendo per altro spaventati dall’arrivo di un topolino dall’aria severa.
Ma il soldatino, intento nella sua concione, non si accorge che anche dalla sua parte del muro accadono cose: forse, come mi ha suggerito una bambina, come conseguenza della rimozione del mattone dal posto in cui si trovava a terra, vediamo che il terreno inizia ad essere invaso dall’acqua.
“Questo lato del libro è sicuro” ci comunica l’omino. Intanto, però, l’acqua sta salendo; e, nell’acqua, cominciano a comparire pesci e mostri marini, solleciti nel darsi la caccia e divorarsi l’un l’altro. Il soldatino, però, non se n’è ancora accorto, e ci sta informando or ora di come dall’altro lato ci sia, soprattutto, un terribile orco pronto a divorare chiunque gli capiti a tiro.
A questo punto, però, l’acqua è salita tanto che, improvvisamente, il nostro piccolo protagonista non può fare a meno di accorgersi che anche il suo lato del libro non è sicuro come pensava e che sta per venir divorato, non tanto dall’orco di cui sopra, quanto da un branco di piccoli pesci famelicissimi. Ma una grossa mano si sporge da sopra il muro e lo porta in salvo… dall’altra parte.

Il muro in mezzo al libro è un albo geniale, sotto moltissimi aspetti.
Innanzitutto, bisogna spendere qualche parola per il gran lavoro che ha condotto alla realizzazione dell’oggetto che teniamo tra le mani. Perché di un gran lavoro di concettualizzazione e di armonizzazione di testo e immagini stiamo sicuramente parlando.
Le illustrazioni sono belle, d’essenzialità ricercata ed equilibrio cromatico, giocate sui toni del verde e del marrone, con texture interessanti e forme definite dal ritaglio che balzano fuori da uno sfondo bianco.
L’utilizzo della linea della rilegatura, anche se non nuovo nel mondo creativo degli albi illustrati, è perfetto: Agee sfrutta alla perfezione quello spazio, che di solito negli albi illustrati occidentali rappresenta il passaggio tra ciò che viene prima e ciò che viene dopo, e lo rende da passaggio ostacolo, separazione: in questo caso tra un pensiero reazionario, conservatore, e un pensiero progressista, “selvatico”, come selvatico è tutto ciò che si discosta dal battuto arrischiando l’innovazione. Infatti, nella percezione del pedante omino, è il lato sinistro del libro ad essere protetto dal muro, che allo stesso tempo – diremo poi, alla fine – impediva di “guardare avanti”, verso il rischio e il fascino del futuro.
Ed è, ancora una volta, il messaggio sotterraneo che porta ai lettori grandi e piccoli, con umorismo e delicatezza, ad essere interessante.
Mi piace iniziare la lettura di quest’albo chiedendo ai bambini quale sia il lato sicuro del libro. Le immagini di Jon Agee, ancor prima del testo, fanno in modo che la risposta possa essere una sola. La domanda andrà, ovviamente, ripetuta alla fine. Perché è sul ribaltamento che Agee gioca: ribaltamento tra i lati del libro, in cui alla fine è incoraggiato il sospetto che il muro esista, dopotutto, per proteggere il paradiso terrestre che si trova sul lato destro, e non viceversa; ribaltamento tra i concetti “buono-cattivo”, in cui tutto ciò che si pensa pericoloso è alla fine accogliente e salvifico e viceversa; ribaltamento anche tra l’associazione piccolo-innocuo e grande-pericoloso, dal momento in cui vediamo il soldatino minacciato non tanto dall’orco quanto da un banco di temibili pesciolini, ma anche gli animali grandi e grossi spaventati dal severo topino (a dirci inoltre che sì, sarà pure un lato sicuro, ma anche lì possiamo aspettarci delle sorprese).
È, insomma, un libro che accetta la sfida della contemporaneità: rovesciare cose e concetti più e più volte, alimentando più le domande che le risposte, non accettare mai una verità per definitiva e battersi sempre e comunque, strenuamente, contro il pregiudizio, contro quel condizionamento mentale che ci fa guardare solo in una direzione, eliminando quelle parti di realtà che potrebbero mandarci in crisi ma anche, forse, aprire il nostro orizzonte.
Nella speranza che, un giorno, non si debbano più costruire muri: né in mezzo ai libri, né tra di noi.

Titolo: Il muro in mezzo al libro
Autore: Jon Agee
Casa editrice: Il castoro
Anno di pubblicazione: 2019
Consigliato da che età? Dai 4 anni; da leggere anche alle scuole primarie
Consigliato a lettori… Che amano ridere; che amano farsi sorprendere; che amano investigare; che hanno bisogno di imparare dai libri a cambiar prospettiva
Libri amici: Di qui non si passa! (Isabel Minhòs Martins, Topipittori), per gli adulti: Il buio oltre la siepe (Giangiacomo Feltrinelli Editore)

Ecco la videorecensione:

Libri accanto al fuoco – SPINO

Ora che, più che mai, abbiamo un disperato bisogno di tenere gli altri a distanza, Spino di Ilaria Guarducci (Camelozampa editore, 2016) mi sembra una lettura particolarmente indicata.

C’è un modo infallibile per non farsi ferire dagli altri: imparare ad essere noi quelli che feriscono, quelli che tengono lontani.
Se, poi, avessimo la fortuna di avere un corpo ricoperto di spine, come un cactus, potremmo annunciare già dal nostro aspetto la nostra pericolosità, come quegli animali che con le loro tinte sgargianti ci avvertono di essere velenosi. Sarebbe tutto molto più facile, sì, se venissimo dotati di un magico scudo di spine, che faccia il vuoto attorno a noi ovunque andiamo senza bisogno di usare armi faticose, che qualcuno potrebbe anche spuntare – come le parole, il sarcasmo, i rigurgiti acidi che ci esercitiamo a buttare addosso agli altri in questo mondo pieno di cose mal digerite.

Gran cosa, in effetti, la vita di Spino, nato già provvisto di un tal dono. Fa infatti parte di un’esimia famiglia di spinosi, che si è prodigata per fargli frequentare adeguate scuole di cattiveria con l’obiettivo di sviluppare questa qualità innata. Spino, incoraggiato dal padre e forte della sua pregevole tradizione famigliare, ce la mette tutta: va a vivere nel bosco scuro e si allena nelle peggiori cattiverie, insultando, maltrattando e mutilando tutti gli esseri delicati e poetici che lo animano.
Ma, a quanto pare, non sono soltanto i contatti con gli altri viventi a rappresentare un pericolo per noi. Infatti un giorno Spino si ammala: di punto in bianco, a colazione, una spina cade tintinnando sul pavimento; poi ne cade una seconda, poi una terza. Dopo, sarà un diluvio inarrestabile di spine. In poche ore Spino non è più Spino: sotto lo scudo pungente compare un cosetto roseo e morbido, ridicolo e, tutto sommato, un po’ tenero.
È l’inizio di una profonda crisi: Spino ha perduto la sua protezione e, con essa, la sua identità, costruita faticosamente nel corso degli anni proprio a partire da quella stessa protezione.
Solo, deriso e umiliato, se ne sta seduto su un sasso appuntito a meditare sulla propria inutilità.
In questa solitudine, però, gli si avvicina Bernardo, un coniglio saggio, che gli offre la sua compagnia e lo invita a trascorrere il tempo con la sua famiglia e i suoi amici.
Spino si trova a trascorrere i giorni con questa calorosa famiglia di conigli e si rende conto, poco per volta, che senza spine si possono fare molte cose piacevoli. Che la sua pelle vulnerabile è fatta per sentire il sole, il vento, la carezza dell’erba. Che il suo corpo può stare vicino ad altri corpi e sentirne il calore.

Spino è una riuscita storia di bullismo e di uscita dal bullismo, che riesce a descrivere senza mai dover essere esplicito.
Ci racconta, con semplicità e ironia, il bisogno di vicinanza nascosto nell’arroganza e nell’aggressività, così pervasive in quest’epoca di grandi fragilità e grandi solitudini; suggerisce anche sottovoce, per chi voglia ascoltare, che un bullo non nasce mai per caso e non torna a inserirsi nella comunità per caso: che la responsabilità della sua trasformazione è dell’intera comunità educante e della sua capacità di accoglienza del diverso.
La chiarezza della sua metafora attrae molti bambini, specialmente quelli che lo scudo se lo stanno costruendo, a volte perché incoraggiati a farlo, a volte per proteggere la loro vulnerabilità da un mondo che li spaventa, spesso per difendersi da adulti che non hanno rispetto per la loro morbida pelle rosa, sensibile a qualsiasi tocco. I bambini che rischiano di perdere la sensibilità, il tocco dell’aria e del respiro, la bellezza dell’essere creatura tra altre creature. A volte per sempre. A volte in attesa di una rinascita, di uno sguardo gentile che vada oltre le loro spine e produca nel loro scudo piccole fratture da cui passi la luce.

Ma Spino è anche, semplicemente, una storia piacevole, dalle illustrazioni accattivanti e di poche parole, che racconta il potere trasformativo dell’amicizia.

Titolo Spino
Autore Ilaria Guarducci
Casa editrice: Camelozampa
Anno di pubblicazione: 2016
Consigliato da che età? Dai 4 anni
Consigliato a lettori… Che hanno bisogno di uscire dal loro bozzolo di spine trasformati in splendide farfalle; che amano le storie di mostriciattoli; che apprezzano le illustrazioni simili al fumetto
Libri amici: I cinque malfatti (Beatrice Alemagna, Topipittori), Faccia di maiale (Anna Lavatelli, Nord-Sud)

Qui trovate la videorecensione:

Libri accanto al fuoco – E POI… E’ PRIMAVERA

Sono passati sette anni da quando E poi… è primavera di Julie Fogliano e Erin E. Stead è uscito in Italia, pubblicato da Babalibri editore.
Eppure anche quest’anno la primavera arriva nello stesso modo: quatta quatta. Lenta eppure inarrestabile.
Un giorno un germoglio ancora piegato, con la testa infilata nel terreno; un giorno un soffio d’aria tiepida che sa odore di terra che si sgela; un giorno una cavolaia gialla che succhia il nettare da un ciuffo di violette. Il cambiamento è così trascurabile che la consapevolezza del suo arrivo tarda ad arrivare; ma un giorno ci svegliamo e tutto ci canta intorno fin dall’alba, e guardando dalla finestra ci accorgiamo che quei piccoli cambiamenti, prima isole di un piccolo arcipelago, si sono congiunti l’uno all’altro componendo un vero, completo giorno di primavera.

Così, vediamo iniziare questo libro con un bambino e il suo cane che escono di casa e osservano una grande distesa marrone. Fa freddo e tira vento: il bimbo è ben infagottato in vestiti invernali, la sua sciarpa sventola nell’aria fredda.
Il protagonista, in tutto questo marrone, inizia a piantare dei semi. Per la maggior parte del libro li cura, tiene d’occhio il terreno, si preoccupa per loro… e, semplicemente, aspetta.
Intanto inizia ad accadere qualcosa: ma accade solo per chi ha orecchio fine, per chi si sa chinare e ascoltare il “mormorio verde che puoi sentire solo se chiudi gli occhi e appoggi l’orecchio a terra”.
Finché, proprio alla fine del libro, dopo tanta tanta attesa arriva una giornata di sole; e poi un’altra notte, e poi, finalmente…

E poi… è primavera è un libro che ci chiama alla vita, in più sensi.
Ci racconta, con un testo sottile e poetico e le splendide immagini di Erin E. Stead, quel passaggio commovente, vibrante, invariabilmente nuovo che è l’arrivo della primavera – l’esplosione lenta della vita che è crescere, sbocciare, animarsi, riprodursi, crescere di rumori e di colori – e ci invita a farne parte, ancora una volta, come ogni anno.
Ma ci chiede, anche, di essere vivi e ben presenti nella sua lettura, così come gli altri libri di Erin E. Stead, spesso realizzati in coppia con il marito Philip. Non è un libro che possiamo lasciare in mano ai nostri bambini mentre noi ce ne andiamo a lavare i piatti o a leggere il giornale: ha bisogno di tutta la nostra presenza per leggerlo assieme a loro, soffermandoci su ogni minuto particolare, accogliendo i suoi mille inviti a richiamare alla mente profumi, suoni e sensazioni. Ci invita a parlarne con loro, a chiedere, ad ascoltare, a investigare, a indicare con il dito, ad andar oltre immagini e parole per approdare nelle sensazioni, come se navigassimo sul libro nel mare della vita; ci spinge a praticare veramente la “lettura dialogica”, quella che gli esperti di pedagogia di lettura indicano come la modalità di lettura che maggiormente cresce i futuri lettori, mostrando loro i tanti modi in cui un libro ci può nutrire.
Senza di noi, per la maggior parte dei suoi lettori, abituati a narrazioni ritmate e “furbe”, rischierà di rimanere un libro muto, in cui “non succede niente”. Perché in E poi… è primavera l’azione è così piccola e così lenta che pare, davvero, non succeda niente. E invece tutto quel marrone, pian piano, fruscia, rumoreggia e diventa qualcos’altro: ma siamo noi a dover prendere in mano quel senso di attesa e restituirne la potenza a bambini che non sono più abituati a pazientare. E a ridiventare, per la durata di un libro (e forse di più), le guide dei nostri bambini nella meraviglia e nel mistero del mondo.

Titolo: E poi… è primavera
Autori: Julie Fogliano (autrice), Erin E. Stead (illustratrice)
Casa editrice:
Babalibri
Anno di pubblicazione:
2013
Consigliato da che età?
Dai 3 anni
Consigliato a lettori…
Che coltivano la poesia; che adorano fare l’orto e vedere le cose che crescono; che amano la natura; che (ancora non) sanno attendere
Libri amici:
Se vuoi vedere una balena (Philip e Erin E. Stead, Babalibri), Aspetta (A. Portis, Il castoro), Il signor G. (G. Roldàn, La nuova frontiera)

Qui sotto trovate la videorecensione di E poi… è primavera.

Libri accanto al fuoco – CANE BLU

C’è un albo illustrato cui devo una recensione a mo’ di scusa.
Quest’albo è Cane blu di Nadja (pseudonimo di Nadja Fëjto; sorella, per chi fosse interessato alle parentele artistiche, di Gregoire Solotareff, altro stimatissimo autore di albi illustrati).
Lo confesso: la prima volta che l’ho conosciuto, qualche anno fa, non ne sono rimasta particolarmente colpita, soprattutto per via della trama, che giudicavo fin troppo classica. Certo, le illustrazioni (che ricordano l’espressionismo) erano d’impatto, la qualità artistica era evidente, ma a quell’epoca cercavo soprattutto storie che stessero lontane dai soliti binari. La storia del cane (per quanto blu) che i genitori non vogliono, ma che riesce a farsi accettare dalla famiglia mettendo in salvo la bambina dispersa nel bosco, aveva un che di già sentito.
Sono stati i bambini a rimettere me sui binari. Perché, se c’è una cosa che ho capito durante la mia esperienza di lettrice, è che io e i bambini, in questo viaggio nelle storie, abbiamo competenze e doveri diversi. Il mio dovere è portare loro narrazioni e libri di tutti i tipi, cercando sempre di proporre opere di qualità, di remare contro la banalità, la volgarità, le opere fatte in serie per ragioni commerciali; il loro dovere è segnalarmi, con il loro fiuto infallibile, le storie che funzionano davvero e che lavorano dentro di loro, e spronarmi a farle conoscere ad altri bambini.
Cane blu, l’inguardato inserito un po’ all’ultimo in una cinquina di libri da proporre per le letture pomeridiane nella fascia 3 – 6 anni, piacque subito e senza tentennamenti; anzi, i bambini manifestarono verso questo libro un ardore tale che decisi di riprovarci, questa volta alle scuole primarie: l’effetto fu confermato.
E così, di anno in anno, di pubblico in pubblico, Cane blu ha sempre ricevuto lo stesso ardore, lo stesso affetto senza tentennamenti, al punto che ora lo propongo nella certezza che piacerà. Credo sia per questo che, nonostante abbia una trentina d’anni, è stato ripubblicato nel 2019 da Babalibri.

Che cosa i bambini avevano visto e io no?
Partiamo dalla storia.
Carlotta incontra un cane randagio. Poco importa, a questo punto della storia, che il cane sia un Cane blu dagli occhi di rubino: la bambina si affeziona a lui, ricambiata: il cane la torna a trovare sera dopo sera.
La mamma, però, non è contenta di quell’amicizia: il cane è randagio, potrebbe essere malato, e ad ogni modo i genitori della bambina non vogliono adottare cani. Carlotta è costretta a separarsi dal suo amico.
I genitori di Carlotta, vedendola triste, decidono di portarla nel bosco per un pic-nic… e, naturalmente, Carlotta si perde.
Sta calando la notte; Carlotta non sa dove si trova. Ma Cane blu sopraggiunge, accende il fuoco con il suo soffio (solo a questo punto iniziamo a capire che la sua particolarità gli conferisce anche poteri speciali) e la conduce al riparo in una grotta, per attendere assieme l’alba.
Ma nel folto della foresta si nasconde lo Spirito della Foresta, pronto a divorare chiunque osi rimanere nel suo bosco oltre il crepuscolo… e ora Carlotta sarebbe in grave pericolo, se a vegliare su di lei non ci fosse Cane blu.
La trama e la struttura narrativa sono classiche e un po’ scontate, è vero. Eppure, man mano che la trama procede, si manifestano i poteri di Cane blu e si giustifica la sua particolarità, mentre avviene il passaggio in un mondo inquietante e selvaggio, che Cane blu frequenta in virtù sia del suo essere senza padrone che della sua diversità. Qualcosa cambia: ed è qui, nelle drammatiche scene centrali ambientate nella foresta notturna, che la storia esce dai binari della banalità.
A questo punto della lettura i bambini sono spesso inquieti: la lotta tra Cane blu e lo Spirito del bosco, mutato in pantera, è rappresentata in modo crudo, è un salto in un mondo di violenza vera, non mediata da immagini accattivanti, che a volte io sorpasso in fretta, per non turbare i più piccoli; una lotta il cui esito non è assolutamente scontato. Tanto che, ogni volta, me lo domando anch’io: riuscirà un povero e mite Cane blu a sconfiggere il selvaggio spirito della foresta?
Ma ogni volta l’alba arriva e Cane blu ce la fa (grazie alla sua tenacia, più che alla sua forza), i bambini ce la fanno, e ogni volta che salto la pagina della lotta mi sento in colpa per non aver regalato loro quel brivido in più pur sapendo che poi il finale ci porterà tutti in salvo, in una corsa sfrenata e rigenerante in groppa a Cane blu.
Sono convinta che il suo potere quest’albo lo eserciti fino in fondo con la scena finale: il cane che appoggia la testona sul letto della bambina e la rassicura: “Resterò sempre con te”.

I bambini amano le figure come Cane blu – fedeli, protettive e potenti pur nella loro mitezza e umiltà. Io le chiamo “le forze di protezione”: ai miei occhi incarnano la sicurezza che sperimentiamo da bambini tra le braccia delle persone che ci sono più care. Penso che i bambini, in figure come quella di Cane blu, rivivano e rafforzino questa sensazione di protezione, e abbiano bisogno di narrazioni come queste e personaggi come questi per affrontare il mondo con le sue inquietudini e ambiguità. Infatti di personaggi analoghi ce ne sono molti, nella letteratura per l’infanzia e oltre: pensiamo al GGG, a Pippi Calzelunghe o addirittura all’Aslan della Saga di Narnia; ma anche a Cion Cion Blu (ancora una volta il blu è il colore della protezione), il contadino cinese capace, nella sua semplicità e saggezza, di aiutare nientemeno che l’imperatore della Cina: un’altra figura di protezione molto amata dai bambini, protagonista di un romanzo che suscita il loro entusiasmo (e che inizialmente avevo, anche stavolta, sottovalutato).

Se ci pensiamo, anche a noi storie come questa piacciono, e per lo stesso motivo. Ognuno di noi ricorda quel “per sempre”; ognuno di noi ha sentito, un tempo, la potente sensazione che quell’abbraccio fosse una fortezza inespugnabile. Quella stessa fortezza, negli anni del tradimento dell’adolescenza, ci è apparsa nella sua umana fragilità, ma sappiamo che è rimasta dentro di noi come un nido di calore in cui, tutti, ci rifugiamo quando abbiamo bisogno di conforto. E, per tutta la vita, cerchiamo il nostro Cane blu.

Titolo: Cane blu
Autore: Nadja
Casa editrice: Babalibri
Anno di pubblicazione: 2019 (ultima edizione)
Consigliato da che età? Dai 4 anni; piace molto anche a bambini di 6 – 7 anni
Consigliato a lettori… Che amano i cani; che hanno bisogno “del grande amico”; che apprezzano le storie a tinte forti; che sono affascinati dalle storie che hanno un sapore antico, di leggenda.
Libri amici: Cion cion blu (Pinin Carpi), Il GGG (Roald Dahl), Pippi Calzelunghe (Astrid Lindgren).

Qui trovate la videorecensione di Cane blu:

Libri accanto al fuoco – TUTTO CAMBIA

Siete bambini che vedono creature nascoste negli angoli della realtà?
Siete adulti che chiedono a un albo una stilettata nel loro piccolo, disallenato cuore?
Ho l’albo illustrato che fa per tutti voi: è Tutto cambia di Anthony Browne, uscito nel 2019 con Orecchio Acerbo edizioni.

Anthony Browne è maestro dell’inquietudine nascosta nell’ordinario. L’abbiamo già visto all’opera in vari albi illustrati, tra i quali Ti cerco ti trovo, con i suoi alberi contorti che suggeriscono forme di animali giganteschi e pericolosi; lo ritroviamo in quest’albo di poche parole e immagini (pre)potenti, in cui a trasformarsi in rettili e animali sono oggetti domestici e ordinari.
Il protagonista si trova da solo in casa. Suo padre è andato “a prendere la mamma”: non sappiamo dove sia andato, non sappiamo da dove la mamma stia tornando. Possiamo però leggere il senso di vuoto e di irrequietezza provato dal protagonista. Vaga per una casa che è al tempo stesso familiare e sconosciuta, in cui la natura degli oggetti pare sfuggirgli di mano. Tutto ciò che fino ad oggi era scontato sembra rivelare una nuova identità: il tostapane ha orecchie e coda di gatto, la poltrona si sta mutando in coccodrillo.
Neanche all’esterno le cose vanno meglio: un pallone calciato si tramuta in un uovo che a sua volta mette al mondo un uccello; persino la bicicletta ha qualcosa che non va.
Cose che cambiano, e può darsi lo facciano per sempre. Come forse è cambiata la mamma, come forse è cambiato il mondo di questa famiglia normale che viveva in una casa normale. Fino ad oggi.
Il protagonista si nasconde nella sua camera. Spegne la luce.
Improvvisamente… la porta si apre su una lama di luce.
Girate la pagina e PAM!
La mamma è tornata. Ed è vero che tutto cambia, ma a volte il nuovo non è spaventoso come pensavamo…
Voglio sapere chi è rimasto impassibile. Voglio saperlo, davvero. Perché io non ce l’ho fatta, così come le altre mamme cui ho fatto leggere questa storia.

Tutto cambia è una lezione di saggezza.
Forse, ma dico forse, piacerà quasi di più agli adulti che ai bambini.
I bambini, di sicuro, ameranno immergersi nelle illustrazioni per cercare gli scarti dalla realtà, i mutamenti più inavvertibili – nei particolari degli oggetti, nelle ombre, tra le pietre del muro. Anthony Browne conosce bene il pensiero dei bambini, che traduce in cose tangibili una sensazione o un pensiero, e ci mette di fronte a questo loro continuo “cosificare”, in cui la paura diventa una strega e il bisogno di rassicurazione un peluche.
La lezione sarà per gli adulti: perché da grandi è così facile dimenticare quanto un bambino si possa sentire travolto da ciò che accade nella sua realtà senza che lui abbia gli strumenti per comprendere e gestire il cambiamento. Chi di noi vorrebbe davvero tornare indietro, trovarsi nuovamente in un mondo che cambia senza che possiamo fare nulla per fermarlo? In cui decisioni prese da altri ed eventi che hanno luogo altrove sono in grado di modificare la nostra realtà al punto da renderla irriconoscibile?
Eppure, crescere significa anche accettare che vivere significa rischiare il cambiamento di continuo, e imparare a vederlo non solo come pericolo ma come possibilità di evoluzione: e i bambini impareranno a non considerare il cambiamento negativamente se gli adulti sono capaci di presentarlo loro sotto una luce positiva. E noi, siamo capaci di accettarlo?
Tutto cambia è un libro che invita alla riflessione e all’incontro col nostro bambino passato. Con i mutamenti che hanno sconvolto la nostra esistenza ed il modo in cui siamo riusciti, o non siamo riusciti, ad affrontarli.

Con i nostri bambini potremo giocare a scovare le creature nascoste in casa, con noi stessi potremo giocare a immaginare di affrontarlo, questo cambiamento, sapendo che alla fine non è stato poi così male.
Perché non è mica detto che un albo illustrato sia solo per i bambini. O no?

Titolo: Tutto cambia
Autore: Anthony Browne
Casa editrice: Orecchio Acerbo
Anno di pubblicazione: 2019
Consigliato da che età? Dai 3 anni, per una lettura giocosa; agli adulti, e in particolare ai genitori, per una lettura riflessiva.
Consigliato a lettori… Che amano giocare a cerca-e-trova anche nei libri; che sono affascinati dalle illustrazioni mutevoli e le illusioni ottiche; (qui devo dirlo… non volevo rovinare la sorpresa…) che devono affrontare una cambiamento nella loro routine familiare, come l’arrivo di un fratellino o una sorellina.
Libri amici: Ti cerco, ti trovo (Anthony Browne, ed. Camelozampa)

Qui sotto trovate anche la videorecensione!

Libri accanto al fuoco – LA CITTA’ E IL DRAGO

Tra i libri di un autore spesso capita di avere il proprio preferito; il mio albo preferito di Gek Tessaro è La città e il drago, che trovate ripubblicato nel 2019 da Lapis edizioni.

Ci sono due montagne, una accanto all’altra.
Su una c’è una città, sull’altra un drago. Ma un drago gigantesco, eh, mica uno di quei draghetti da quattro soldi che San Giorgio trafigge con uno stuzzicadenti in certe illustrazioni. Un drago sul serio, da oscurare un’intera notte stellata.
E quando uno è così grande, così grosso, così dentuto, con tutto quel verde e quel fuoco tanto rosso, capite bene che non possiamo aspettarci altro che guai.
Anche il re della città di fronte lo pensa: il drago è certamente pericoloso e prima o poi, sicuro, ne combinerà delle belle. Ogni mattina, così, il suo primo pensiero, dopo essersi piaciuto allo specchio, è chiedere notizie alla sentinella: “Dimmi il drago che fa, dimmi se arriva, / se dobbiamo difenderci da quella bestia cattiva”.
Guarda, riguarda la sentinella, si stringe nelle spalle. “… Mi sa che l’intenzione non è proprio quella…” dice con voce tremula.
Passano i giorni, chiede il re, risponde la sentinella… ma la risposta non cambia: “… Mi sa che l’intenzione non è proprio quella…” .
Il bestione, insomma, non si decide; ancora non ha preso l’iniziativa.
E in effetti, a ben guardare (ma, ci ricorda Tessaro, bisogna avere buon occhio!), non pare avere cattive intenzioni. Perché sarà pure grande, sarà pure grosso, sarà pure verde, sarà pure rosso, ma al drago, della città sull’altra montagna, non interessa proprio niente. Lui vuole solo starsene tranquillo per conto suo.
Ma il re non ci sta. Quel drago lo fa apposta, di ciondolare senza fare il suo dovere di drago. E se un re non può difendere la sua popolazione con le armi, se non può far la voce grossa e armare l’esercito per una missione importante, che re è?
Così il nostro sovrano ha un’idea machiavellica, da vero politico: aiutare il drago a prendere una risoluzione spostando la città dal monte di qua al monte di là, perché “l’attacco è la miglior difesa”.
Così viene fatto.
E il drago… che fa, insomma, l’orribile bestia?
Niente di niente. Infastidito dal chiasso e dalla sporcizia degli umani, lascia la sua montagna e si rintana sotto terra.
Così, che scocciatura, toccherà agli uomini trovare una scusa per far la guerra…

La città e il drago, come il drago stesso, è un albo con due pelli: “di fuori” è un albo simpatico, ritmato, vivace, che si avvale d’illustrazioni d’impatto e una rima incalzante e mai scontata – “di dentro”, nel suo cuore di carta, è un’ode al pacifismo e un impietoso ritratto della razza umana: razza sospettosa e litigaiola, accecata dai pregiudizi e dal desiderio di conquista, capace solo di applicare agli altri la propria logica e la propria limitata visuale; una specie che nonostante le sue pretese di superiorità intellettiva fa fatica a spiccare veramente il volo, che non fa tesoro della propria memoria e per questo ogni tanto ha bisogno di una buona abbrustolita per recuperare il senno (almeno per qualche tempo).

Un libro in cui al i bambini troveranno una storia spassosa e un po’ rock, giocata sul ribaltamento dei ruoli, con un antieroe che non potrà fare a meno di essere loro simpatico; gli adulti vi troveranno una riflessione un po’ amara sul destino umano e una vicenda che richiama ad altre storie e altre immagini di prepotenze e violenze vecchie e nuove giustificate dal pregiudizio.
Un albo, insomma, da leggere più volte e in tante età della vita.

Su Gek Tessaro, però, c’è da dire di più.
Tra le tante cose che oggi ci mancano ce n’è una della cui assenza, probabilmente, non molti si accorgono: è la possibilità di vedere le cose nel loro originarsi.
Il nostro destino di fruitori e consumatori vuole che, della maggior parte delle cose che vediamo e utilizziamo, ci sia sconosciuto il processo che le ha rese tali e, perciò, che non possiamo vivere la potenza del processo creativo. Che si tratti di bambini, di pietanze o di opere d’arte, oggi tutto viene al mondo lontano dal nostro sguardo, e non ci è quasi mai data la possibilità di scorgere la lentezza, la fatica e la magia necessari perché qualcosa che prima non c’era diventasse qualcosa che ora c’è.
E’ un’assenza di cui raramente ci occupiamo, ma che in qualche modo percepiamo. Per questo siamo affascinati dal vedere un artigiano all’opera e ci commuoviamo per un laboratorio in cui possiamo sgranare il mais.
Quest’assenza è particolarmente grave, a mio parere, quando interessa i bambini. Loro rischiano veramente di non vedere quasi mai, e quindi di non imparare, che le cose si possono fare, che ogni cosa del mondo nasce dal connubio tra creatività, volontà e lavoro. E, forse, di crescere credendo che il mondo sia dato così com’è, e non si può cambiare, o rendere più bello.
Gek Tessaro non si limita ad essere ottimo autore completo di albi illustrati (è premio Andersen), non si limita ad essere bravo rimatore e illustratore geniale, ma è anche un maestro artigiano, che porta con sé in giro per l’Italia tutta la sua arte, dalla fonte alla foce, offrendo ad adulti e bambini l’esperienza del flusso creativo con il suo bellissimo Teatro disegnato (cercate i suoi video o, meglio ancora, andate a vedere uno dei suoi spettacoli).
Se a questo aggiungiamo che Gek Tessaro è un autore dotato di gran senso morale, che nei suoi albi illustrati affronta spesso temi importanti riuscendo a trasmettere i suoi valori senza apparire moralista, credo che chiunque s’interessi di educazione dei bambini dovrebbe conoscerlo e promuovere la sua opera.

Non si sa mai che, magari, qualcuno della prossima generazione impari per tempo a vedere sotto la pelle del drago… e a starsene buonino sulla sua montagna.

Titolo: La città e il drago
Autore: Gek Tessaro
Casa editrice: Lapis
Anno di pubblicazione: 2019 (ultima edizione)
Consigliato da che età? Godibile dai 4 anni; dai 6 anni per apprezzare appieno la storia
Consigliato a lettori… Che amano le storie in rima; cui piacciono i draghi; che hanno un forte senso della giustizia; che apprezzano l’ironia.
Libri amici: Il cavallo e il soldato (Gek Tessaro, ed. Artebambini), Quellilà (Daniele Movarelli, Michele Rocchetti, ed. Giralangolo), I conquistatori (David McKee, ed. Il Castoro).

Volete guardare la videorecensione de “La città e il drago”? Eccola qui sotto!

Fuori luogo, nove anni fa

Dal blog “Il luogo fuori luogo” – 29 novembre 2011

Perché fuori luogo, potreste chiedervi.
Innanzitutto, perché andiamo ad abitarci, “fuori luogo”: in una casetta nei boschi, senza vicini, in una valle i cui abitanti fissi sono riassumibili in un numero di una sola cifra.
In una società abituata a considerare “luoghi” solo quelli dell’abitato, quelli odorosi di attività umane in fermento, in cui la vita scorre rapida e continua, andare ad abitare oltre i margini di tutta quest’attività equivale a perdersi nel nulla.
Ma l’idea è dovuta anche a un istante della mia vita, emblematico di molti altri istanti che mi e ci siamo trovati a vivere.
Dopo alcuni mesi di lavoro, sembrava che per me ci fosse la possibilità di ottenere un contratto a tempo determinato.
Io chiesi subito di ottenere un lavoro part-time. Fui convocata urgentemente all’ufficio contratti e sottoposta a interrogatorio: ricordo le tre segretarie sedute attorno a me, con espressioni sbalordite e un po’ infastidite, che mi chiedevano a ripetizione perché mai desiderassi un contratto part-time. Non avevo figli cui badare o altre esigenze familiari. Dunque, qual era il problema?
Cercai invano di spiegare loro che avevo intenzione di dedicarmi ad altre attività – che mi piaceva scrivere e che avrei voluto dedicarmi alla mia casa – ma loro rimanevano profondamente perplesse. Avevano l’aria di considerarmi una traditrice. Contraddicevo la loro immagine del giovane contrattista che pur di guadagnare più soldi è disposto ad ammazzarsi di lavoro.
Esprimere la volontà di guadagnare l’indispensabile e dedicare una fetta più grande possibile del proprio tempo a se stessi e ad offrire servizi gratuiti alla propria famiglia e alla società appare certamente fuori luogo. Infastidisce le coscienze.
So che il mio discorso potrebbe suscitare polemiche. Ci sono famiglie, anche in Italia, che vivono in povertà. Quella vera, che non è il potersi permettere solo un cellulare di pessima marca e non comperarsi il televisore al plasma. Il mio discorso non riguarda coloro che sono veramente poveri: riguarda tutti gli altri.
Il fatto è che persino chi non avrebbe bisogno di guadagnare cifre enormi per vivere sente il dovere di farlo. A meno di perdere… che cosa? La credibilità sociale, un ruolo, il potere, la stima di sè.
Noi non sentiamo questo bisogno. Il minimo ci basta.
Noi vogliamo restarci, fuori luogo.

Di terra, d’acqua, d’alberi

Da piccola, nel giardino dei miei nonni, vivevo in una città d’alberi.
Il più maestoso era il gigante ciliegio, dalla scorza scura e slabbrata. Arrampicarlo non era facile: bisognava aggrapparsi all’unico ramo sufficientemente basso, portare in alto le gambe, appendersi al ramo con le gambe e poi tirarsi su a forza di addominali. Ma una volta salita potevo accoccolarmi tra le sue braccia, appoggiando la schiena al tronco che continuava su, su, e agganciava l’universo. Ricordo di essere stata lì in una nevicata di foglie d’autunno: un rito, l’istante sacro in cui il vento porta un po’ di cielo alla terra.
Ognuno degli altri alberi, più piccoli, aveva la propria personalità.
C’era il melo, che le potature avevano reso contorto, con un ramo a gomito fuori dalla mia portata che potevo raggiungere solo se avevo il coraggio di saltare nel vuoto dalla biforcazione dei rami. Quando non capitombolavo a terra ma lo raggiungevo era una gioia spenzolarsi e poi, nel punto più alto dell’oscillazione, lasciarsi cadere a terra, per correre subito dopo al cedro del Libano, con il ramo diritto ideale per appendersi a testa in giù.
C’erano i pruni, esili ma alti, su cui giocare ad arrivare sempre più su.
C’era il pero. “Sul pero no, è troppo fragile”. E allora il pero non si toccava, perché anche la società della natura ha le sue regole.
C’era un altro cedro del Libano davanti alla scalinata d’ingresso, col tronco grandissimo e diritto, che abbracciavo. Dovette essere tagliato perché le sue radici si erano insinuate sotto il lastricato e lo spingevano verso l’alto, sbriciolandolo. Fu per me un lutto, come sarebbe stata, anni dopo, la scomparsa dell’amata campagna che stava dietro casa, distrutta da macchine rapaci per far spazio a un centro commerciale proprio in primavera, con i fiori sbocciati sui rami: l’innocenza che si mostra per essere sacrificata.

Ho sempre sentito bisogno degli alberi. Credo che il contatto con la natura e, in particolare, con gli alberi ci renda più saggi e centrati. Penso che i bambini, tutti, debbano crescere vicino alla natura – che questo dovrebbe essere un loro diritto riconosciuto.

Se c’è una cosa che mi posso riconoscere è che nella mia vita ho sempre cercato di fare scelte coerenti con ciò che sentivo, anche quando questo comportava un costo o un sacrificio.
Così è nata anche la mia famiglia: dalla terra, dall’acqua, dagli alberi.

Fuori dalla tana…

Gennaio è iniziato a casa, tra gommapiuma, velcro e libri di Gianni Rodari, che a ottobre compirà cent’anni.
E, poi, con un progetto sulle letture e il rapporto con l’ambiente a Ronchi Valsugana, dove i bimbi fanno l’orto e studiano le foglie, camminano nei boschi e si rotolano nei prati, e dove quest’anno si parla di sostenibilità e riciclo.
Io, dal canto mio, ho deciso di portare i bambini in viaggio nella nostra relazione con l’ambiente, a partire dalle nostre case per arrivare alla consapevolezza degli elementi naturali e al nostro collocarci nel Tutto, dal quale dipendiamo e il quale, ormai, dipende da noi.
Per affrontare in modo leggero ma pensante l’inquietudine che ci permea, in quest’inverno senza neve che all’altro capo del mondo è estate infuocata; per continuare a nutrire l’immaginazione, la stessa immaginazione che negli anni a venire dovrà trovare un modo per rivoluzionare il nostro essere-nel-mondo.
Poi, come sempre, ogni albo illustrato ha mille fili che vanno in tutte le direzioni. Parti con un argomento, sapendo che, sempre, da quelle pagine di spunti ne usciranno mille altri: sulle sfide del crescere e il rapporto tra piccoli e grandi, sulla solitudine e la diversità, sulle regole e la trasgressione… Ed è bello così, ed è giusto così, perché il nostro essere nel mondo è complesso e non si può parlare di rapporto con l’ambiente senza, ad esempio, parlare anche della tolleranza nei confronti della diversità, della capacità di incontrarci con l’altro, dell’empatia, dell’amicizia.
Siamo partiti con… gli animali domestici (il più amato: I cani non sono ballerine) per proseguire parlando di case e tane (perché tutti abbiamo bisogno di un luogo sicuro) e di leoni che visitano le biblioteche.
E, presto, usciremo dalla tana per vedere cosa c’è fuori…