Di terra, d’acqua, d’alberi

Da piccola, nel giardino dei miei nonni, vivevo in una città d’alberi.
Il più maestoso era il gigante ciliegio, dalla scorza scura e slabbrata. Arrampicarlo non era facile: bisognava aggrapparsi all’unico ramo sufficientemente basso, portare in alto le gambe, appendersi al ramo con le gambe e poi tirarsi su a forza di addominali. Ma una volta salita potevo accoccolarmi tra le sue braccia, appoggiando la schiena al tronco che continuava su, su, e agganciava l’universo. Ricordo di essere stata lì in una nevicata di foglie d’autunno: un rito, l’istante sacro in cui il vento porta un po’ di cielo alla terra.
Ognuno degli altri alberi, più piccoli, aveva la propria personalità.
C’era il melo, che le potature avevano reso contorto, con un ramo a gomito fuori dalla mia portata che potevo raggiungere solo se avevo il coraggio di saltare nel vuoto dalla biforcazione dei rami. Quando non capitombolavo a terra ma lo raggiungevo era una gioia spenzolarsi e poi, nel punto più alto dell’oscillazione, lasciarsi cadere a terra, per correre subito dopo al cedro del Libano, con il ramo diritto ideale per appendersi a testa in giù.
C’erano i pruni, esili ma alti, su cui giocare ad arrivare sempre più su.
C’era il pero. “Sul pero no, è troppo fragile”. E allora il pero non si toccava, perché anche la società della natura ha le sue regole.
C’era un altro cedro del Libano davanti alla scalinata d’ingresso, col tronco grandissimo e diritto, che abbracciavo. Dovette essere tagliato perché le sue radici si erano insinuate sotto il lastricato e lo spingevano verso l’alto, sbriciolandolo. Fu per me un lutto, come sarebbe stata, anni dopo, la scomparsa dell’amata campagna che stava dietro casa, distrutta da macchine rapaci per far spazio a un centro commerciale proprio in primavera, con i fiori sbocciati sui rami: l’innocenza che si mostra per essere sacrificata.

Ho sempre sentito bisogno degli alberi. Credo che il contatto con la natura e, in particolare, con gli alberi ci renda più saggi e centrati. Penso che i bambini, tutti, debbano crescere vicino alla natura – che questo dovrebbe essere un loro diritto riconosciuto.

Se c’è una cosa che mi posso riconoscere è che nella mia vita ho sempre cercato di fare scelte coerenti con ciò che sentivo, anche quando questo comportava un costo o un sacrificio.
Così è nata anche la mia famiglia: dalla terra, dall’acqua, dagli alberi.

Fuori dalla tana…

Gennaio è iniziato a casa, tra gommapiuma, velcro e libri di Gianni Rodari, che a ottobre compirà cent’anni.
E, poi, con un progetto sulle letture e il rapporto con l’ambiente a Ronchi Valsugana, dove i bimbi fanno l’orto e studiano le foglie, camminano nei boschi e si rotolano nei prati, e dove quest’anno si parla di sostenibilità e riciclo.
Io, dal canto mio, ho deciso di portare i bambini in viaggio nella nostra relazione con l’ambiente, a partire dalle nostre case per arrivare alla consapevolezza degli elementi naturali e al nostro collocarci nel Tutto, dal quale dipendiamo e il quale, ormai, dipende da noi.
Per affrontare in modo leggero ma pensante l’inquietudine che ci permea, in quest’inverno senza neve che all’altro capo del mondo è estate infuocata; per continuare a nutrire l’immaginazione, la stessa immaginazione che negli anni a venire dovrà trovare un modo per rivoluzionare il nostro essere-nel-mondo.
Poi, come sempre, ogni albo illustrato ha mille fili che vanno in tutte le direzioni. Parti con un argomento, sapendo che, sempre, da quelle pagine di spunti ne usciranno mille altri: sulle sfide del crescere e il rapporto tra piccoli e grandi, sulla solitudine e la diversità, sulle regole e la trasgressione… Ed è bello così, ed è giusto così, perché il nostro essere nel mondo è complesso e non si può parlare di rapporto con l’ambiente senza, ad esempio, parlare anche della tolleranza nei confronti della diversità, della capacità di incontrarci con l’altro, dell’empatia, dell’amicizia.
Siamo partiti con… gli animali domestici (il più amato: I cani non sono ballerine) per proseguire parlando di case e tane (perché tutti abbiamo bisogno di un luogo sicuro) e di leoni che visitano le biblioteche.
E, presto, usciremo dalla tana per vedere cosa c’è fuori…